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Libri
Le città del
domani - AAVV, a cura di Peter Crowther - Fanucci Editore
di FRANCESCO SCALONE
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Sin dalle origini del genere, gli scrittori di fantascienza
hanno provato a immaginare il futuro delle città.
Nell’antologia “Le città del domani”
(Fanucci editore, 15 euro), Peter Crowther ripropone
questo tema presentando quattro romanzi brevi di Paul
Di Filippo, China Miéville, Michael Moorcock
e Geoff Ryman.
Nel racconto di China Miéville – senza
dubbio l’esponente oggi più interessante
della fantascienza inglese – troviamo una Londra
devastata dalla guerra: ovunque, da Victoria Street
a Westminster, da Russel Square a King’s Cross,
non rimangono che cumuli di macerie e rovine. C’è
qualcosa di autenticamente agghiacciante in questo racconto
del 2002, se solo si considera che negli stessi luoghi
indicati da Miéville hanno colpito i kamikaze
negli attentanti della scorsa estate. Ma non si tratta
di un caso di preveggenza: questa Londra immaginaria
dalla topografia impazzita, i cui confini e ogni altro
riferimento spaziale sono stati cancellati dalle deflagrazione
degli ordigni esplosivi, rappresenta in realtà
la più vasta città globale quotidianamente
martoriata dalla guerra.
E si badi, sulla scia del miglior filone catastrofico
della fantascienza inglese, la distruzione degli uomini
e delle cose non è solo materiale, ma segna tanto
più profondamente lo stesso paesaggio psichico
dell’umanità. Ma oltre alle suggestioni
ballardiane, Miéville riprende l’idea di
Lewis Carroll che possa esistere un altro mondo al di
là degli specchi: la guerra infatti è
stata scatenata dagli Immago, creature che vivono in
una dimensione parallela alla nostra, nascosta dietro
la superficie riflettente degli specchi. Sono l’immagine
di noi stessi, i nostri doppi costretti a vivere sotto
forma di riflessi di luce che si ribellano rivendicando
il diritto di vivere una propria esistenza. In realtà,
sotto la patina rassicurante della scrittura di genere,
Mieville riesce a disseminare nel testo tutta una ridda
di profondi riferimenti psicoanalitici. Michael Moorcock
racconta gli effetti di “un’oscillazione
spazio-temporale” che ha fatto finire “il
mondo sottosopra”. La distorsione in realtà
si è estesa a tutti gli universi paralleli e
i protagonisti del racconto – Jerry Cornelius,
il Principe Lobkowitz e Taffy Sinclair - cercano una
via di fuga per ritornare alla realtà zero. Ma
così come appare impossibile ristabilire l’ordine
ontologico delle cose, i personaggi si ritrovano prigionieri
di una realtà impazzita in cui passato e presente,
vecchie e nuove guerre si mescolano continuamente, a
simboleggiare la catastrofe geopolitica e sistemica
della civiltà occidentale. Sullo sfondo di una
città globale frammentata su vari livelli spazio-tempo,
compaiono imprecisati scenari di guerra: Londra, Gerusalemme,
Washington, Singapore, le montagne dell’Afghanistan
e il deserto dell’Iraq. Ewell, il personaggio
che appare prima sotto le spoglie di un mercenario,
poi di un generale golpista e infine del Presidente
degli Stati Uniti, dice: “È come la guerra
dei cento anni dalla quale venne fuori una Germania
più forte. Il conflitto servì a preparare
la strada per Bismarck. E laddove a loro ci sono volute
intere generazioni, a noi basterà una settimana”.
Nel racconto convivono elementi anacronistici provenienti
da epoche differenti, come biciclette di fine ottocento
e pick up ultramoderni, parrucche settecentesche e bramini
indù. La scrittura si nutre infatti di materiali
provenienti dalle più disparate fonti mediatiche
(articoli di giornale, citazioni neocon, pubblicità
di armi, frammenti di notiziari televisivi, canzoni
pop, etc.): se da una parte tutto ciò contribuisce
a creare un’atmosfera sperimentalista un po’
datata, dall’altra riesce nell’isolare con
precisione i reperti della catastrofe psichica riproducendone
l’effetto shock planetario. La città raccontata
da Paul Di Filippo si estende in linea retta, una lunga
striscia urbana compresa tra le rotaie della ferrovia
e il corso d’acqua di un fiume. In realtà,
è talmente estesa da includere una miriade di
blocchi, quartieri talmente grandi da somigliare più
a vere e proprie nazioni, con ciascuno una propria lingua,
usanze e costumi differenti.
Di Filippo va comunque oltre la metafora della megalopoli
globale, riuscendo a permeare l’atmosfera del
racconto di una intensa angoscia metafisica ed esistenziale.
“Esiste il blocco zero?” – si chiedono
in continuazione alcuni dei protagonisti – “E
quanto si estende la città? Cosa c’è
oltre il confine del blocco zero”. Gli Ornitauri
e le Ittiodomine, creature alate dalla forma umana e
dai muscoli granitici, compaiano nel cielo ogni volta
che muore un uomo e accompagnano le anime dei defunti
nell’altro mondo: rappresentano in realtà
“i simboli di tutto ciò che giace al di
là dell’umana comprensione”. Si scopre
allora che la città è un vero e proprio
organismo vivente e sotto il manto della superficie
urbana si dipana un fitto reticolo di tunnel sotterranei
ricoperti di materiale organico. Molto più ironico,
infine, il taglio scelto da Geoff Ryman. Il protagonista
del suo racconto è infatti un vecchio hacker
costretto ancora ai furti elettronici per poter pagarsi
la retta dell’ospizio hightech. L’ambientazione
si svolge infatti a Los Angeles, in una particolarissima
happy farm dove i pazienti sono sorvegliati da un sofisticato
sistema di controllo elettronico: “Sanno persino
i tasti che digitiamo al computer” - dice uno
degli anziani - “Esatto, dannazione. Non posso
neanche scaricare del porno”. Per ironia della
sorta, il vecchio hacker si ritrova così controllato
da quegli stessi sistemi che molti anni prima ha contribuito
a sviluppare. E tra le invenzioni a guardia dell’ospizio
c’è anche un micidiale sistema di difesa
attiva che disintegra i ragazzini ispanici non appena
varcano i muri di cinta. Perché, come ha osservato
Mike Davis, il conflitto della Los Angeles del futuro
non sarà soltanto di classe (i ricchi contro
i poveri) ma si svilupperà anche sul piano demografico
(bianchi contro latini) e generazionale (vecchi contro
giovani). E con un geniale ribaltamento di prospettiva,
questa volta la gang di sociopatici è composta
esclusivamente da ultraottantenni: nichilisti, animati
da un puro spirito di vendetta, decisi a distruggere
la società dei giovani che adesso vorrebbe escluderli.
Francesco Scalone
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